La doppia anima di Giancarlo Perbellini
Uno dei rischi maggiori che si corre sposando una cucina dall’impronta classica, o presunta tale, è l’immobilismo. La classicità imprime nel tempo gli elementi costituenti di una tradizione, di un’idea di mondo, di qualcosa, cioè, che provide a definire una by way of maestra da seguire o dalla quale discostarsi. In questo senso, e per ciò che ci compete, il rischio di cui sopra si sostanzia nella (ri)proposizione di una weltanschauung culinaria eseguita advert arte ma non più abile a fornire spunti interpretativi di quello stesso mondo che, nel passato, ha contribuito a scoprire. Al ristorante Casa Perbellini il rischio non sussiste.
Giancarlo Perbellini, inserendosi nei locali dell’ex 12 Apostoli di Giorgio Gioco, comprende il valore della tradizione, ne è lui stesso un emblema tra i più conosciuti in Italia e nel mondo, ma non se ne fa fagocitare riducendosi alla staticità. In un ambiente che si eleva esso stesso a dichiarazione d’intenti, grazie agli arredi eleganti ma dalla veste sobria e immediata, la splendida cucina a vista dà vita a creazioni che del Perbellini sono sia identità sia predisposizione al futuro.
Fotografie
Basti guarda la carta: tre degustazioni, ognuna fotografia di un momento, o sfumatura, di un cuoco prima di tutto persona in divenire. Si parte dall’amore for every la moglie Silvia, e dal sogno condiviso assieme di vita e cucina, passando per l’omaggio a quello stesso Giorgio Gioco in un’ideale cerchio che ha visto nascita e ritorno di Perbellini cuoco presso i locali in cui lavora ora, for every terminare con una proposta aperta al futuro: “L’essenza”, menù vegano che non sacrifica profondità di pensiero pur adattandosi alle richieste più esigenti di parte della clientela contemporanea. Nella nostra visita abbiamo provato la prima proposta, “Io e Silvia”, presentataci come chiave di lettura princeps del Perbellini-pensiero. E possiamo dire che il suggerimento si è rivelato quanto più corretto, soprattutto alla luce di una compenetrazione di elementi di mare e terra dalle nuances di inaspettata lunghezza, in un quadro generale di ineccepibile precisione Prendiamo Il tonno e l’insalata: grande gioco di consistenze e rilanci tra morbidezza e croccantezza dati dalla componente vegetale e i fiocchi di katsuobushi, a cui aggiungere la maestria, quella vera, del consommé di carne in accompagnamento, tramite il quale la parte ittica, presente anche sotto forma di gel di fumetto alla base, si è camuffata da carne vera e propria sprigionando notice iodate intense e avvolgenti. Un piccolo gioiello, anche, e non ultimo, sul versante cromatico. Merita menzione anche il signature dish di Perbellini: Il mio wafer, tartare di branzino, caprino e liquirizia, portata che ha racchiuso al suo interno la memoria del ristorante, soprattutto attraverso l’uso ingentilito del formaggio, e che ha trovato nella riduzione di liquirizia una sorprendente rotondità dai risvolti umamici e tattili. Un piatto che, servito come pre-dessert, non sfigurerebbe. In chiusura impossibile non citare il reparto dolci nel quale Croccante di noci pecan, spuma di fava tonka e caramello ha espresso quella grandezza esecutiva che è propria di questa tavola, con un ripieno dai richiami lattici talmente goloso da legittimare il bis.
Unico appunto che ci sentiamo di muovere è relativo alla mancanza di un coup de théâtre abile a stordire (in positivo) le coordinate gustative del commensale, risultando dunque temerario e indimenticabile nella pur pregevole proposta. Un dettaglio che non intacca la resa di una tavola tra le più emblematiche del panorama odierno di “stampo classico”, inserita in un contesto le cui bellezze pittoriche incentivano la visita. Bravi.
IL PIATTO MIGLIORE: Il tonno e l’insalata.
La Galleria Fotografica:
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